Come ogni anno, aprile arriva e porta con sé la settimana di
“Natale + 4 mesi”, universalmente conosciuta come settimana del Salone del Mobile.
Non mi stancherò mai di dirvi quanto la amo, e soprattutto
per noi che facciamo i designer di mestiere è davvero una festa.
Quest’anno non sono andata in fiera, quindi tecnicamente il
salone non l’ho visto, ma in compenso ho distrutto piedi e fegato andando in
giro per i vari eventi cittadini a rifarmi gli occhi e a lasciarmi ispirare. Ma se
dovessi dare un giudizio complessivo sarebbe meh. Non ho visto grossi guizzi di
creatività rispetto all'anno scorso, e anzi ho notato un fin troppo visibile
fine commerciale in molte delle cose esposte. Il trend è più o meno rimasto lo stesso degli ultimi anni, ovvero la sempre maggiore attenzione all’ecosostenibilità dei materiali e dei processi produttivi, e mi sembra che in questo senso l’innovazione
tecnologica stia un po’ superando quella formale. In soldoni: non ho quasi
visto niente di nuovo, soprattutto sul fronte del complemento d’arredo. Le due
cose che mi sono piaciute di più sono state la mostra di Domus ai Bastioni di Porta
Nuova e l’esposizione dei lavori del celeberrimo studio Nendo, capeggiato dal
mio adorato Oki Sato.
“Youthful Stories – Storie di Ventenni” è la mostra che
Domus dedica ai lavori giovanili di dieci designer iconici (Alessandro Mendini,
Jasper Morrison, Alberto Meda, Paolo Rizzatto, Mario Bellini, Michele de Lucchi,
Antonio Citterio, Humberto e Fernando Campana, Ronan ed Erwan Bouroullec e Konstantin
Grcic) per mostrarci il loro percorso creativo e ciò che ha contribuito alla
formazione della loro personalità come progettisti. Vale la pena farci un salto
anche solo per i video in cui questi personaggi raccontano i loro punti di
vista sul design, quindi visto che la mostra è visitabile fino al 30 aprile
consiglio a chi è a Milano di andarci.
Nendo works 2014-2015 è stata la cosa più interessante che
ho visto dal punto di vista del design. E questo soprattutto per un motivo: sia
gli arredi che gli accessori erano di una semplicità e di una bellezza
disarmante, la forma rivelava la funzione, l’idea era visibile. A dimostrazione
del fatto che Mies buonanima aveva ragione: less is more funziona sempre.